Per l’uomo, mammifero superiore, l’associazione fra esperienza sessuale e riproduzione appare, a prima vista, così ovvia da far dimenticare che la sessualità è solo uno dei meccanismi predisposti alla propagazione della specie. Anzi, a dirla tutta, è quello di più recente introduzione e di più antieconomico dispendio energetico.

Divisione eucariotica, gemmazione, partenogenesi, ecc., sono di gran lunga meccanismi più antichi ed efficienti. L’unica problematica è quella però di generare popolazioni di individui eccessivamente omogenee e quindi globalmente esposte a potenziali nocivi.

Il maschio quindi, o comunque il genere che meno investe in tempo gestazionale e cure parentali, è comparso solo in un secondo tempo della storia evolutiva. Lo scopo principale, se non unico, è di differenziare la specie: milioni di spermatozoi con milioni di possibilità genetiche diverse sono un lusso che le specie dette inferiori non si possono permettere. Un lusso che si paga con la necessità della ricomposizione, dell’obbligatorietà di rintracciare un partner adatto e disponibile e, per i maschi, con l’aggravante della pericolosa e poliforme competizione per l’accesso al rituale riproduttivo.

La fecondazione esterna, come quella dei pesci, consente almeno una dissociazione temporale fra i partners e una concentrazione sulle complicazioni seduttive rispetto a quelle copulative. Nella sessualità più propriamente intesa, cioè quella finalizzata alla fecondazione all’interno del corpo femminile, il peso delle problematiche tecniche genitali o extragenitali aumenta. Basti pensare all’infertilità canina da lesioni agli arti posteriori o da insufficienza del nodo penieno interno.
Nella specie umana vanno considerate anche le sovrastrutture culturali che, se non riescono a spegnere completamente le pulsioni istintuali naturali, di certo condizionano l’esperienza sessuale e riproduttiva.In particolare le interferenze principali riguardano i seguenti aspetti:

L’età riproduttiva

Se per le altre specie l’accesso alla sessualità e alla riproduzione coincide con la maturità fisica, nella maggior parte delle società umane viene richiesta una serie di condizioni specifiche (di carattere economico, intellettuale, relazionale, ecc.) che determinano un deciso ritardo sui tempi.
Nelle società industrializzate, il ritardo sembra riguardare più la parte riproduttiva senza un impedimento all’accesso precoce alla sessualità; in gruppi più connotati sul piano religioso il ritardo coinvolge in via primaria la sessualità con derivata conseguente latenza sulla riproduzione. In ogni caso il desiderio riproduttivo in età avanzata è una problematica con la quale tutti gli operatori dei Centri di fertilità devono confrontarsi quotidianamente. Molte delle strategie tecniche nel campo della procreazione medicalmente assistita (PMA) sono state elaborate con l’esclusiva necessità di contrastare gli effetti negativi di questo antifisiologico gap temporale.

Accesso globale della popolazione maschile alla sessualità e alla riproduzione

Nella specie umana, in difformità rispetto ai mammiferi superiori, la competizione per l’accesso al femminile ha assunto aspetti polimorfi e sottili, perdendo quel carattere di dominanza assoluta e di esclusione del maschio perdente da ogni forma di sessualità e riproduzione. Persiste, ed è stato da tempo dimostrato, il fenomeno della “clusterizzazione”: la preferenza di molte donne per lo stesso maschio dotato di segnali espliciti di vantaggio per la prole (vantaggi estetici, economici, protettivi, ecc). Il fenomeno è però socialmente scoraggiato favorendo, al contrario, una situazione di accesso quasi generalizzata del maschio alla sessualità di coppia (pur con diverse transazioni relazionali) e alla potenziale trasmissione genica.

Eccesso della potenzialità sessuale rispetto alla necessità riproduttiva

La disponibilità femminile alla sessualità, anche al di fuori della fase ovulatoria, segnala l’evoluzione della sessualità umana a funzioni più ampie e complesse della semplice riproduzione. Molto si è discusso su questa svolta evolutiva improvvisa dopo che la strategia aveva portato i primati ad evidenze vistosissime (basti pensare alla cromia glutea del macaco in fase ovulatoria). Il fatto sembra spiegarsi con la necessità di favorire i legami di coppia in specie (uomo ma anche uccelli) costrette all’allevamento di prole fortemente immature con necessità prolungate di accudimento.
Dalla necessità del maschio di presidiare costantemente la femmina se desidera la certezza della propria trasmissione genica (l’insicurezza maschile sulla paternità è così proverbiale da strutturarsi in battute e modi di dire) sembra derivare la sproporzionata frequenza coitale della nostra specie. Su questa già evidente anomalia naturale si innesta il fatto che ogni società o ambito culturale definisce frequenze e modi corretti di accoppiamento. Se il legame corporeo piacevole e frequente sembra quindi funzionale agli aspetti di legame di coppia, la ridotta funzionalità temporale del periodo fertile, complica però non poco le cose nella pianificazione della riproduzione.
I monitoraggi ovulatori e i più o meno diffusi sistemi di identificazione del periodo fertile cercano di ovviare a questa difficoltà.

Conoscenza indiretta delle tecniche sessuali

La specie umana è l’unica che impara la sessualità non per via osservativa diretta o esperienziale ma attraverso la comunicazione indiretta orale o scritta.Nonostante le scandalosissime rivelazioni freudiane sulla sessualità infantile risalgano all’ultimo decennio del secolo XIX, il mondo infantile o adolescenziale è, nella maggior parte delle società, escluso da ogni contatto col fenomeno sessuale. E’ infatti protetto in modo rigidissimo, sia sul versante legislativo che su quello del comune sentire, da ogni contatto diretto. Ciò che filtra fra le maglie degli interdetti sociali è condito dai pregiudizi degli adulti, dalle esagerazioni dei pari o dal sensazionalismo dei media e della pornografia. Insomma in una società così impregnata di sesso come quella tardo capitalistica, è frequente l’apprendimento dell’anomalia sessuale prima della fisiologia. Normale che la nostra specie presenti il più alto tasso di disfunzioni e variazioni sessuali e che sia elevato il numero di fraintendimenti sulle modalità sessuali ai fini riproduttivi.

Consapevolezza dell’associazione (e possibile dissociazione) sessualità/riproduzione

L’associazione sessualità-riproduzione è talmente evidente e talmente rafforzata culturalmente da essere data per scontata. Anche nelle teorie meno contaminate da aspetti antropomorfocentrici la consapevolezza di questa relazione viene limitata però alla sola specie umana e anche in questo caso considerata un fenomeno di recente acquisizione. Associare in una relazione causa-effetto un fenomeno su base istintuale come l’accoppiamento sessuale con un evento (la nascita) che si verifica molto tempo dopo (9 mesi) e soprattutto legare, in società promiscue primitive un singolo evento con un singolo partner con il concetto di paternità, è qualcosa che richiede forme di sofisticata mentalizzazione, tipiche di società già molto avanzate. Non a caso Margaret Mead considerò la paternità “un’invenzione occidentale”, una lenta conquista teorica che dalle elaborazioni più fantasiose e disparate su flussi, umori, ecc., ha portato alla scoperta dei gameti maschili (1675), di quelli femminili, e infine dei complessi meccanismi di fecondazione e di annidamento. La maturata consapevolezza dell’associazione, d’altro canto, è stata da subito accompagnata dai tentativi di separare i fenomeni.

Sessualità e non riproduzione

Oltre agli aspetti sopradescritti, anche gli elementi comunicativi, conoscitivi, di determinazione gerarchica, insomma tutto ciò che nella sessualità è poco legato alle fluttuazioni ormonali, sono fattori determinanti e noti della sessualità umana e contribuiscono ad ampliare la frequenza delle esperienze sessuali. Lo svincolarsi dell’ipertrofica sessualità dall’esclusività riproduttiva ha portato da sempre, ovviamente nella sola specie umana, a meccanismi di contenimento preconcezionale o postconcezionale delle indesiderate conseguenze generative delle esperienze di coppia.
Metodi più o meno efficaci di contraccezione sono stati elaborati anche dalle società più primitive.
Una svolta epocale è stata l’introduzione dei contraccettivi ormonali nel 1957: la maneggevolezza, l’estrema efficacia, il basso costo e la scarsa pericolosità hanno sancito in modo quasi assoluto la separazione fra sessualità e riproduzione. I metodi contraccettivi però possono avere, seppure in casi limitati, effetti deleteri più o meno facilmente risolvibili, sulle potenzialità riproduttive dei soggetti. Se l’amenorrea ipotalamica post-pillola ha una prognosi favorevolissima con l’induzione gonadotropinica, non così agevolmente sono superabili gli esiti flogistici da dispositivi intrauterini o ancor più le eventuali lesioni traumatiche da interruzione volontaria della gravidanza.

Riproduzione e non sessualità

Questo percorso è stato più accidentato e complesso. Note sono le diatribe sulla successione al trono di Enrico IV di Castiglia (sofferente di impotenza e sterilità probabilmente da tumore ipofisario) resa possibile mediante inseminazione artificiale della moglie Giovanna di Portogallo nel 1464. L’inizio, con documentazione scientifica nel senso moderno, si può far risalire agli esperimenti di Spallanzani che nel 1769 riuscì a praticare con successo l’inseminazione artificiale canina.
L’applicazione nella specie umana è documentata agli inizi dell’800. Nel 1866 Paolo Mantegazza nel suo studio “Sullo sperma umano” già ipotizza la crioconservazione gametica maschile per PMA con dissociazione anche temporale fra sessualità e concepimento. Nel 1976 poi con la prima FIVET (fecondazione in vitro con trasferimento embrionale) la dissociazione fra gli eventi si fa quasi completa; quasi perché in realtà in questi casi l’assenza di sessualità non è completa dato che la produzione del seme avviene con l’orgasmo e l’eiaculazione. La scomparsa totale della sessualità va fatta risalire quindi alla prima inseminazione ottenuta con prelievo testicolare od epididimario, quindi al 1986.

Enorme impatto culturale su significati di sessualità e riproduzione

Nella società occidentale è dimostrato un maggior stress riproduttivo nel partner femminile della coppia soprattutto se la responsabilità dell’infertilità le può essere attribuito, con però maggiori elementi di sostegno familiare e sociale per questo genere. Per molte culture extraeuropee (società cinese, società musulmane ortodosse, ecc.) il valore sociale dell’evento riproduttivo è talmente elevato da oscurare completamente gli aspetti piacevoli della sessualità. Il piacere è un bene facilmente, naturalmente e rapidamente sacrificabile per l’obiettivo concezionale. Il tratto è un po’ più evidente nelle società poligamiche dove il partner femminile, più o meno responsabile delle difficoltà, può sviluppare sotto le forti pressioni sociali e familiari del coniuge, timori di legittima sostituzione. Anche nella società cinese dove la femmina è inserita totalmente nel gruppo patrilineare, i disagi dell’infertilità femminile assumono connotazioni più drammatiche. In aggiunta, l’obbligo confuciano della scarsa espressività pubblica dei vissuti interpersonali rende ancor più difficile percepire le ripercussioni della diagnosi di infertilità sull’ambito intimo. Il pensiero operativo orientale rende inoltre difficilmente comprensibili ai pazienti gli aspetti probabilistici delle tecniche di procreazione medicalmente assistita con tonalità depressive, per quanto occultate, più marcate in caso di insuccesso.

Interferenze della sessualità sull’infertilità

La preesistenza di un disagio sessuale con possibili implicazioni nella difficoltà riproduttiva è riportata nel 5% dei casi. Il dato è sottostimato per la difficoltà di ammissione di un’ulteriore (oltre all’infertilità) sintomatologia che implica disvalore sociale. L’ambito sessuologico deve quindi essere indagato attentamente in fase anamnestica dei pazienti infertili: un’indagine cauta per non suscitare diffidenze, resistenze o sospetti di immotivate curiosità e invasioni nello spazio intimo di coppia. Una particolare attenzione deve essere posta alla frequenza coitale con una verifica delle competenze teoriche e pratiche attivate per favorire il concepimento. In questa fase deve essere segnalata la disponibilità, su richiesta, a eventuali incontri separati con i due membri della coppia. Anche se una vita sessuale piena e gratificante non è un prerequisito vincolante per la capacità riproduttiva, è evidente che difficoltà maschili (di ogni tipo) che determinano una deposizione endovaginale non ottimale e difficoltà femminili che ostacolano la penetrazione assumono valenze decisive nel progetto concezionale. Le differenze di genere sono significative: senza giungere alla disarmante affermazione di Master e Johnson che “durante il coito per la donna è sufficiente giacere” è certo che l’attivazione dell’apparato genitale maschile appare più determinante. Quando, per il disagio sessuale emerso, viene esplicitata una richiesta di aiuto, è utile posporre il progetto riproduttivo alla risoluzione della problematica sessuologica. In casi meno espliciti è dubbia la necessità di forzatura medica per la risoluzione di sintomi per i quali non è stato richiesto alcun intervento; non bisogna dimenticare che spesso il personale sanitario non è competente per la gestione di problematiche così sofisticate senza assunzione di valenze giudicanti o di aspetti proiettivi.
Compito essenziale irrinunciabile è solo quello di un’introduzione delicata delle competenze teoriche sessuali utili ad ottimizzare il concepimento quando vengano verificate le scarse conoscenze e la rimozione di pregiudizi non favorenti (come l’idea che l’astinenza prolungata migliori la qualità seminale o che posizioni postcoitali antigravitazionali siano indispensabili alla risalita spermatocitaria, ecc.). Le problematiche sessuali più frequentemente interferenti con la capacità riproduttiva sono riassunte nella seguente Tabella.

 

 

Disfunzioni sessuali in gravidanza ottenuta per risoluzione di infertilità

A volte l’equilibrio sessuale, faticosamente mantenuto durante l’iter riproduttivo o terapeutico per infertilità, si rompe dopo il concepimento. Possono emergere le fisiologiche ambivalenze iniziali sullo stato gravidico e sulla capacità d’assunzione dei nuovi ruoli, per quanto desiderati lungamente.
Nonostante la percepita iperpreziosità embrio-fetale, l’occasione di sfruttare un motivo medico per riposarsi dalle “fatiche sessuali finalizzate” senza percezione di disvalore, l’accentuarsi della marginalizzazione maschile per esaurimento del compito, ecc., sono tutti meccanismi che possono drasticamente ridurre frequenze ed efficienze. Il fenomeno è ancora più evidente in caso di poliabortività pregressa e a nulla valgono le rassicurazioni sull’assoluta non interferenza della sessualità sugli esiti gravidici. Soprattutto l’ipercontrattilità uterina postorgasmica femminile è erroneamente percepita come fattore di rischio grave. La situazione di riduzione del desiderio sessuale e della frequenza coitale è parafisiologica nel primo trimestre mentre può generare qualche attrito di coppia se si prolunga anche nel secondo; la femmina può percepire la perdita di desiderabilità sia per il nuovo ruolo materno asessuale sia per le variazioni corporee e necessitare di rassicurazioni in questo senso. Il maschio può risultare insofferente agli eccessivi processi di esclusione dalla diade madre-figlio con un risentimento per la mancata remunerazione della fatica svolta durante il periodo infertile. Gli altri aspetti psicologici positivi dello stato gravidico possono mascherare questa problematicità che però, se viene esplicitata, non deve essere trascurata, in quanto potrebbe accentuarsi e precipitare in epoca postnatale.

Disfunzioni sessuali per paura della fertilità successiva

Un accenno deve essere fatto anche alle difficoltà sessuali che possono intervenire per paura di un ulteriore concepimento in coppie che hanno concluso positivamente l’iter terapeutico per infertilità, magari con gravidanze plurime. Dopo lunghi, faticosi e stressanti periodi di sterilità, può svilupparsi una credenza eccessiva e assoluta dell’impossibilità di un concepimento naturale; l’uso di contraccettivi viene vissuto con fastidio e perplessità. La mancata protezione può determinare però tensioni più profonde con insorgenza di disfunzioni sessuali nel partner meno motivato a un evento gravidico successivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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