Molte coppie che ricorrono alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) e che vogliono assicurarsi al più presto una gravidanza (a buon ragione), o che non riescono ad avere un figlio dopo più cicli, spesso cercano di ricorrere a nuove procedure e trattamenti che sono ancora in via sperimentale. Sebbene alcune di queste procedure siano supportate da prove sufficienti, la maggior parte di esse non dispone di evidenze solide.

È per questo che oggi vogliamo approfondire un altro argomento molto dibattuto, una tematica ancora molto viva nella sfera della ricerca perché ancora non si è giunti a una conclusione certa: è necessario che ogni donna di una coppia che ricorre alla PMA si sottoponga allo screening per la trombofilia? E’ un test di routine indispensabile o un esame immotivato? C’è correlazione tra la trombofilia e i risultati delle tecniche di fecondazione assistita?

La trombofilia è una condizione clinica caratterizzata da un’ipercoagulazione del sangue e quindi dalla tendenza, causata da cause genetiche o acquisite, allo sviluppo di trombi venosi o arteriosi. Una possibile associazione tra trombofilia e fallimento d’impianto embrionario nei cicli di PMA, secondo un’ipotesi, verrebbe da una potenziale occlusione microvascolare a livello della decidua (strato della mucosa dell’utero che farà poi parte della placenta) o del corion. Tuttavia non è ancora chiaro se la trombofilia congenita o acquisita sia la causa effettiva alla base del fallimento dell’impianto. Per questo motivo l’utilità dell’esecuzione del pannello della trombofilia per le donne che si sottopongono a fecondazione assistita rimane controversa.

La predisposizione genetica al tromboembolismo venoso che caratterizza le trombofilie congenite di solito è dovuta all’assenza o all’alterazione di una proteina funzionale della cascata della coagulazione. Le anomalie genetiche più diffuse nelle trombofilie congenite includono le mutazioni del gene del fattore V di Leiden, della protrombina, della metilen-tetraidrofolato reduttasi (MTHFR) e carenze delle proteine ​​anticoagulanti C e S e dell’antitrombina. Ad oggi gli studi condotti per verificare la correlazione tra una di queste mutazioni trombofiliche, sia in forma omozigote che eterozigote, e l’aumento del rischio di fallimento d’impianto o di gravidanza hanno dato risultati contrastanti e non hanno evidenziato una differenza significativa tra i tassi di successo della PMA in donne con trombofilia o senza. Alcuni studi hanno evidenziato un’associazione positiva tra alcune mutazioni geniche, che sono causa frequente di trombofilia, e la perdita ricorrente di gravidanza nel secondo trimestre (RPL, quando si hanno 2 o più aborti), tuttavia si basano su un numero di casi non sufficiente a garantire una significatività statistica.

Oltre alle trombofilie congenite sopra menzionate, anche condizioni acquisite possono aumentare il rischio di trombosi: la sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS), la trombocitopenia indotta dall’eparina, l’emoglobinuria parossistica notturna, sindromi mieloproliferative, una sindrome paraneoplastica, la stessa gravidanza, l’uso di contraccettivi orali e l’aumento dei livelli di estrogeni. In particolare, l’attenzione si è concentrata soprattutto sull’APS per diverse ragioni. Innanzitutto, l’aumento nel siero dei livelli di estradiolo durante la stimolazione ovarica e la fase luteale può ulteriormente aumentare il già elevato rischio di trombosi nei pazienti con APS. In secondo luogo, la coagulazione aumentata può ostacolare l’impianto degli embrioni e il processo di sviluppo della gravidanza attraverso l’occlusione vascolare. Inoltre, recenti studi hanno suggerito che l’APS possa portare alla perdita della gravidanza attraverso una risposta infiammatoria e l’attivazione del complemento piuttosto che attraverso una trombosi. Diversi esperimenti hanno dimostrato che la perdita ricorrente di gravidanza è associata al ritrovamento di anticorpi antifosfolipidi (anticorpi collegati alla trombosi), in particolare all’anticoagulante lupico (LA), agli anticorpi anti-cardiolipina (ACA, IgM e IgG) e agli anticorpi anti β2-glicoproteina I (aβ2GPI, IgG e IgM). Per cui la raccomandazione della Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (ESHRE) è di effettuare lo screening per questi tre anticorpi antifosfolipidi solo nelle donne che hanno avuto due o più aborti (RPL).

Altrettanto importante è che non ci sono prove sufficienti a sostegno del vantaggio della terapia anticoagulante per migliorare l’esito della fecondazione assistita nelle pazienti con trombofilia congenita ma sembra che l’aspirina, l’eparina non frazionata e quella a basso peso molecolare possano essere utili nel trattamento dell’APS (impedendo la complementazione più che attraverso l’effetto antitrombotico).

L’assenza di trattamenti univoci, sicuri, efficaci e comprovati che diminuiscano il rischio di una futura perdita di gravidanza nelle donne trombofiliche che ricorrono alla PMA insieme all’incoclusività degli studi sulla relazione tra trombofilia e il successo della PMA ci impedisce di raccomandare il pannello trombofilico a tutte le donne che si rivolgono a un centro di infertilità. Tuttavia, come consiglia anche l’ESHRE, dovrebbe essere effettuato uno studio attento della storia personale e familiare, tenendo conto di condizioni mediche concomitanti, di eventuale APS, dell’età e di eventuale condizioni di obesità, per ottenere una valutazione del rischio di complicazioni trombotiche in ogni donna che si sottopone a stimolazione ovarica. Se il rischio sussiste, lo screening è più che giustificato.

Da qui si comprende l’importanza di rapportare il caso specifico con la necessità di eseguire un pannello trombofilico o meno: non a caso, la personalizzazione del trattamento è uno dei baluardi del nostro centro Criagyn. D’altro canto, per tutti i motivi esposti, riteniamo che non si possa includere il pannello trombofilico tra gli esami di routine, sorvolando l’ulteriore carico economico ed emotivo sproporzionato al rischio assoluto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fecondazione assistita a Salerno, presso il centro di Pma Criagyn.

 

 

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