La Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) è uno degli argomenti che suscita maggiore interesse e dubbi da parte di chi, non riuscendo ad avere figli in maniera naturale per i motivi più diversi, decide di farvi ricorso.

Il percorso non è sicuramente semplice, soprattutto perché le tecniche di PMA sono varie, perciò orientarsi per capire quale sia la migliore per il proprio caso non è obiettivamente facile.

Per cercare di dipanare la matassa e far luce su alcuni degli aspetti che riscuotono i maggiori interrogativi il dottor Raffaele Carputo, ginecologo esperto in fisiopatologia della riproduzione umana e in endoscopia ginecologica nonché direttore clinico del nostro Centro Criagyn, ha risposto alle domande più frequenti nelle coppie che cercano un bambino attraverso la fecondazione assistita.

  1. Cosa prevede un percorso di procreazione assistita?

Un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) inizia sempre con una prima visita realizzata da un ginecologo specialista in medicina della riproduzione. Durante questo primo incontro vengono visionate le indagini realizzate in passato (se presenti) e le più importanti vengono informatizzate; successivamente il medico realizza un’anamnesi generale e riproduttiva accurata (salute familiare e della coppia, uso di farmaci, allergie a farmaci, caratteristiche del ciclo mestruale, ecc); la donna è sottoposta poi a visita con ecografia, durante la quale vengono valutate le ovaie e l’utero.

Come risultanza delle analisi visionate, dell’anamnesi e della visita, lo specialista richiederà una serie di analisi ematiche e strumentali per inquadrare il caso nel migliore nei modi.

Pertanto, terminata la prima visita inizia la fase diagnostica che ha lo scopo di trovare eventuali cause dell’infertilità di coppia.

Le prove diagnostiche di primo livello (esami prescritti a tutte le coppie con problemi di fertilità) richieste hanno come scopo quello di valutare la riserva ovarica della paziente (conteggio dei follicoli antrali “AFC”, ormone antimulleriano, FSH, estradiolo), lo stato delle tube (isterosalpingografia o sonoisterosalpinografia), il seme (spermiogramma) e una serie di esami ematochimici di base (funzionalità tiroidea, emocromo, marcatori infettivologici, ecc).

Esistono poi una serie di esami di secondo livello che vanno richiesti in presenza di condizioni specifiche (isteroscopia, laparoscopia, test frammentazione del DNA spermatico, ecc). Terminata la fase diagnostica viene prospettata alla coppia il miglior trattamento per il caso specifico (Fase di trattamento).

I trattamenti di PMA si dividono basicamente in due livelli; tecniche di Iº livello o a bassa tecnologia come l’inseminazione intrauterina (IUI) nel quale la fecondazione dell’ovocita avviene nel corpo della donna e tecniche di IIº livello o a elevata tecnologia come la Fecondazione In Vitro (FIV), con trasferimento di embrione (FIVET) e la ICSI (iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), nel quale la fecondazione avviene all’esterno del corpo della donna ossia in laboratorio (in Vitro).

Esistono anche procedure di IIIº livello che risultano più complesse da un punto di vista chirurgico ma in completo disuso come la GIFT, ZIFT e TET.

È da rimarcare in tutti i modi che a volte la risoluzione chirurgica di una problematica uterina (polipo, mioma, ecc), il ripristino dell’ovulazione in donne anovulatorie (induzione dell’ovulazione con rapporti mirati) o il miglioramento di alcune condizioni metaboliche (ipotiroidismo, insulino-resistenza) può portare alla gravidanza senza la realizzazione di tecniche di PMA.

  1. Quando è il caso di prendere in considerazione la PMA?

Per poter rispondere a questa domanda in maniera corretta dobbiamo evidentemente fare riferimento alla definizione di infertilità.

L’infertilità di coppia si definisce come l’incapacità di dar luogo a una gravidanza evolutiva dopo almeno 12 mesi di rapporti regolari e non protetti. 

Le coppie che compiono tale definizione sono da considerarsi infertili e pertanto possono richiedere, qualora lo reputino importante per la loro vita, un consulto specialistico con un ginecologo esperto in medicina della riproduzione; mi preme puntualizzare che il timing per la richiesta di “aiuto” non è sempre superiore o uguale ai 12 mesi canonici, ma va individualizzato in funzione all’età della paziente e dalla presenza o meno di fattori di rischio.

Quando la donna ha meno di 35 anni e non ci sono fattori di rischio per l’infertilità di coppia (endometriosi conosciuta, insufficienza ovarica prematura, malattia infiammatoria pelvica, chirurgia sulle ovaie, spermiogramma alterato conosciuto, criptorchidismo, varicocele, ecc) lo studio di fertilità ed eventuali trattamenti vanno realizzati dopo almeno 12 mesi di rapporti regolari e non protetti.
Nel caso in cui la donna ha 35 anni o più, uno studio di fertilità ed eventuali trattamenti vanno realizzati dopo solo 6 mesi di rapporti regolari e non protetti.

Quando la donna ha più di 40 anni e/o sono presenti fattori di rischio per l’infertilità, uno studio di fertilità e trattamento immediato sono lo standard per l’ottenimento di un migliore risultato riproduttivo.

  1. Ci sono casi in cui la PMA è sconsigliata o non si può proprio fare?

Esistono patologie che sconsigliano l’instaurarsi di una gravidanza, sia essa il prodotto di un concepimento naturale o derivante da un percorso di PMA.

È buon senso cercare di evitare gravidanze in donne con patologie associate a elevato rischio per la salute della madre e/o del feto; fra queste patologie ricordiamo l’insufficienza renale cronica, le cardiopatie associate a una riduzione significativa della funzionalità cardiaca, il diabete mellito tipo 1 o 2 non controllato in maniera adeguata, patologie tumorali non ancora considerate in remissione completa ed altre patologie croniche quando complicate da danno d’organo (per esempio alcune patologie autoimmuni e reumatiche).

Considerazione a parte merita l’ampia diffusione dell’ovodonazione (PMA di tipo eterologa) nel quale sono utilizzati ovociti di una donatrice di meno di 35 anni; tale procedura ha dato possibilità di genitorialità anche a donne con età superiore ai 45 anni (superati i 43 anni le percentuali di gravidanza evolutiva con ovuli propri è prossima allo zero); evidentemente superati i 40 anni aumentano le possibilità di patologie concomitanti per la donna che vanno scartate con attenzione prima del trasferimento embrionario (nel nostro centro richiediamo una visita cardiologica, ricerca di sangue occulto nelle feci, mammografia ed analisi generali).

Sopra i 50 anni per motivi medici ed etici qualsiasi procedura di PMA va sconsigliata fermamente.

 

  1. Quali sono le tecniche di inseminazione?

Le tecniche di PMA possono essere classificate in 3 livelli in funzione del luogo della fecondazione (dentro o fuori il corpo della donna) e della complessità chirurgica della tecnica.

Le procedure di I livello si considerano a bassa tecnologia e si caratterizzano per il fatto che la fecondazione dell’ovocita/i avviene nel corpo della donna; l’inseminazione intrauterina o artificiale (IUI) è una procedura PMA di Iº livello.

Appartiene al II livello di PMA la Fecondazione In Vitro (FIV); questo tipo di procedura si caratterizza per il trasferimento in utero di un embrione/i prodotti in laboratorio. La fecondazione degli ovociti in laboratorio può avvenire lasciando gli spermatozoi selezionati a contatto con gli ovociti (FIVET) o iniettando il singolo spermatozoo nell’ovocita (ICSI).

Costituiscono tecniche di III livello il trasferimento in tuba degli ovociti e degli spermatozoi (gamete intrafallopian transfer, GIFT), il trasferimento in tuba degli zigoti (zigote intrafallopian transfer, ZIFT), il trasferimento di embrioni allo stadio di due pronuclei (pronuclear stage transfer, PROST) e il trasferimento in tuba degli embrioni (tubal embryo transfer, TET).
Le procedure di III livello sono in disuso in quanto complesse da un punto di vista tecnico e associate a peggiori risultati in termini di percentuali di gravidanza.

L’inseminazione artificiale o intrauterina (IUI) consiste nel depositare a livello del fondo uterino, per mezzo di un catetere flessibile, il liquido seminale opportunamente preparato.
Questa tecnica prevede la concentrazione nonché la selezione degli spermatozoi migliori per morfologia e motilità e la loro deposizione nella cavità uterina; così facendo viene facilitata la fecondazione dal momento che viene ridotta la distanza tra spermatozoi e ovociti, superando l’acidità vaginale e l’ostilità del muco cervicale. La procedura viene generalmente associata a stimolazione ovarica con ormoni, che ha come vantaggio l’incremento del numero di ovociti disponibili per la fecondazione; a ciò si accompagna il monitoraggio ecografico e ormonale necessario per determinare il momento idoneo per l’inseminazione. La tecnica è poco invasiva e indolore.

La Fecondazione In Vitro con Trasferimento dell’ Embrione (FIVET) è una tecnica che prevede la fecondazione degli ovociti con gli spermatozoi in sede di laboratorio.

Il fine è quello di ottenere embrioni al di fuori del corpo della donna, laddove vari fattori impediscano il naturale processo di fecondazione nelle vie genitali femminili; successivamente gli embrioni saranno poi trasferiti all’interno della cavità uterina. L’introduzione della fecondazione in vitro ha permesso il raggiungimento del concepimento a coppie con diversi tipi di infertilità, di origine sia femminile che maschile.

La Fecondazione in vitro può essere effettuata attraverso una tecnica FIV classica (FIVET) o con iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI).

Procedura:

  1. Stimolazione ovarica e monitoraggio: in questa prima fase la donna viene sottoposta a trattamento farmacologico. Lo scopo sarà ottenere una crescita follicolare multipla, aumentando il numero di ovociti disponibili per la fecondazione. Lo sviluppo dei follicoli viene monitorato con esami ecografici e ormonali periodici. Quando le dimensioni e il numero dei follicoli sono adeguati viene indotta l’ovulazione con la somministrazione dell’ormone gonadotropina corionica umana (hCG).
  2. Prelievo degli ovociti (Pick-up): al fine di recuperare gli ovociti maturati, dopo 34-36 ore dalla somministrazione dell’hCG viene eseguita l’aspirazione follicolare per via transvaginale mediante un ago sottile e sotto controllo ecografico. Questa operazione avviene sotto sedazione e dura 15-30 minuti. Dopo 3-4 ore di riposo presso la clinica la paziente potrà tornare normalmente alle proprie attività quotidiane.
  3. Coltura degli ovociti e preparazione del liquido seminale: il liquido follicolare proveniente dal pick-up viene esaminato al microscopio per la ricerca degli ovociti. Gli ovociti poi vengono opportunamente trasferiti in terreni di coltura ottimali alla preparazione per la fecondazione in vitro. Allo stesso momento, il partner maschile effettua la raccolta del liquido seminale, il quale viene poi preparato in laboratorio per selezionare gli spermatozoi migliori.
  4. Fecondazione in vitro degli ovociti: gli ovociti maturi vengono fecondati utilizzando la tecnica FIVET o la tecnica ICSI, selezionata relativamente al caso specifico.
    La FIVET consiste nel mettere in contatto gli ovociti recuperati mediante pick-up, ancora circondati dalle cellule del rivestimento esterno, con gli spermatozoi selezionati. Successivamente gli spermatozoi dovranno da soli penetrare le barriere ovocitarie.
    L’ICSI invece consiste nell’inserimento di un singolo spermatozoo direttamente nel citoplasma dell’ovocita, il quale viene precedentemente denudato dalle cellule esterne per valutarne la maturità.
  5. Coltura e trasferimento embrionale: gli ovociti fecondati vengono mantenuti in laboratorio in condizioni ottimali allo sviluppo degli embrioni e vengono continuamente monitorati. Dopo 17-20 ore dalla fecondazione in vitro è possibile verificare l’avvenuta fertilizzazione attraverso l’osservazione di due pronuclei all’interno dell’ovocita fecondato. Nei giorni successivi gli embrioni vengono osservati per seguirne lo sviluppo e valutarne la qualità. In base a ciò, viene stabilito se il trasferimento degli embrioni debba avvenire dopo 3 o 5 giorni dalla fecondazione in vitro. Gli embrioni migliori vengono così selezionati e, attraverso un catetere, vengono trasferiti nella cavità uterina della paziente. Il trasferimento embrionale si esegue in sala operatoria ma è indolore per cui non richiede anestesia.
  6. Crioconservazione degli embrioni: gli embrioni vitali che non vengono trasferiti possono essere congelati “vitrificati” al fine di renderli disponibili alla coppia qualora ce ne fosse bisogno. Ciò risulta di grande importanza nel caso in cui il primo tentativo abbia avuto esito negativo o per avere un secondo figlio.

 

  1. Quali sono le probabilità di rimanere incinta con la PMA?

Le possibilità di successo delle procedure di PMA sono influenzate da molte variabili; è necessario tuttavia fare una premessa, prima di parlare di risultati e fattori che li influenzano; la specie umana ha un rendimento riproduttivo molto basso (basta pensare che le probabilità di ottenere in un mese una gravidanza, il concetto di “fecondabilità mensile”, quando tutti i fattori sono ottimali è di circa il 20%).

Si può affermare che, nonostante gli sforzi effettuati nel campo della ricerca della medicina riproduttiva, in generale le percentuali di successo in termini di bimbo in braccio (gravidanza evolutiva con nato vivo) non superano il 40%; siamo di fronte pertanto a procedure a rendimento medio-basso, se comparate ad altre procedure medico-chirurgiche.

I principali fattori che influenzano i risultati sono i seguenti: età della donna (fattore più importante), anni di infertilità (un’infertilità superiore ai 3 anni si considera di lunga durata e pertanto a peggiore prognosi), parametri seminali, ambiente uterino (presenza di miomi, polipi, endometrite, ecc.), peso della paziente, numero di trattamenti previ falliti (a maggior numero si associa una peggiore prognosi).

A parte vanno evidentemente considerate le statistiche del centro specifico a cui ci si affida (perizia del ginecologo, esperienza del biologo, tecnologie impiegate, condizioni di laboratorio).

Per le tecniche di I livello (IUI) le percentuali nazionali di gravidanza evolutiva tenendo conto di tutte le età per il 2017 è stata del 10,3%.

Per le tecniche di II livello (FIVET e ICSI) omologhe, ossia senza prendere in considerazione la donazione di gameti (ovuli o spermatozoi donati), le percentuali nazionali di gravidanza evolutiva tenendo conto di tutte le età su cicli a fresco per il 2017 è stata del 17,6%; tuttavia con il diffondersi della vitrificazione di tutti gli embrioni (freeze-all) come misura di prevenzione della sindrome di iperstimolazione ovarica il migliore marcatore per valutare il rendimento delle tecniche di PMA è la percentuale cumulativa di gravidanza per coppia trattata (percentuale gravidanza che deriva dal ciclo a fresco + trasferimento di eventuali embrioni congelati) che risulta essere del 27,5%.
Nel caso includessimo anche la donazione dei gameti la percentuale cumulativa di gravidanza per coppia ascende al 37,9%.

  1. L’età della donna conta molto nel determinare queste probabilità?

L’età della donna è il fattore più importante nel determinare le percentuali di successo di una tecnica di PMA; il motivo principale risiede nel fatto che la qualità e la quantità degli ovociti cala progressivamente con il passare degli anni; tale impoverimento progressivo non risulta essere così marcato per l’uomo.

Le percentuali cumulative di gravidanza per coppia trattata stratificato per l’età della donna nel 2017 sono risultate le seguenti:

  • 34 anni: 39,5%;
  • 35-39: 30,7%;
  • 40-42:16,5%;
  • 43: 8,3%.

 

 

 

 

 

 

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