Sono diverse le forme di procreazione medicalmente assistita (PMA). Si parla di fecondazione in vitro omologa quando entrambi i gameti (ovociti e spermatozoi) provengono dalla stessa coppia in trattamento.

Quando ci riferiamo al termine eterologa stiamo parlando di una procedura in cui almeno un gamete (nel caso degli ovociti si parlerà di eterologa femminile, mentre nel caso degli spermatozoi di eterologa maschile) o entrambi sono forniti da una donatrice o donatore esterno.

Nella mia professione è estremamente delicato già solo parlare di questo tema. I motivi sono molteplici e comprensibili anche a chi non ha competenze in materia di Biologia. E’ un fatto di sensibilità. La Medicina, per una volta, si pone di fianco.

Perchè rinunciare alla propria componente genetica quale unica via per ottenere una gestazione, implica un’integrazione che tocca la sfera emozionale. Privata e totalmente soggettiva.

La diagnosi di infertilità può essere avvertita alla stregua di un verdetto. Le persone possono risentirne mettendo quasi a repentaglio i loro rapporti, persino l’efficacia di ciò che vorrebbero ottenere. Le difficoltà psicologiche stanno lì, dietro l’angolo. Hanno bisogno di sostegno.

Sono tematiche nuove, certamente. Eppure la fragilità dei sentimenti non ha epoche. Del resto, l’Epigenetica, recente branca degli studi genetici che completa quelli consueti, spiega quanto assimiliamo il mondo attraverso il nostro corpo. L’ambiente circostante incide tanto, gli eventi hanno un ruolo preponderante. Non possiamo negarlo. Intervenire sulle risposte emotive (e sulla nostra vita in generale) spesso diventa l’unica via di tutela.

La fecondazione eterologa femminile, altrimenti detta fecondazione mediante ovodonazione, richiamata tra le tipologie di cui sopra, consiste nel processo mediante il quale una donna ricorre agli ovuli di una donatrice, per poter realizzare il proprio desiderio di maternità.

Ovuli che, a loro volta, verranno fatti fecondare dagli spermatozoi del partner che li accoglie, per dar vita a embrioni, successivamente trasferiti alla paziente. Il miracolo della vita stessa, farà il resto.

Da parte mia al riguardo, provando a superare eventuali diffidenze delle pazienti e dei loro compagni, descrivo “chi dona” in qualità di elargitrice di un primo “mattone”. Necessario, ma pur sempre singolo.

Il “palazzo” che verrà, lo costruirà comunque la destinataria di quel mattoncino. Gli ormoni, l’utero materno, lo stesso sangue, influenzeranno inevitabilmente lo sviluppo di quella specifica cellula. Tanto è vero che, in termini di risultati, la stragrande maggioranza delle pazienti che ricorrono a questa fortunata procedura, tenderà poi a ripeterlo con convinzione.

Resteranno contente infatti. Sovente richiederanno addirittura “aiuto” alla stessa donatrice (attraverso la clinica evidentemente: la donazione è legale, sia qui che in Spagna dove opero, esclusivamente se anonima) per mantenere il medesimo patrimonio acquisito.

A questo punto vorrei parlare delle donatrici. Donne dotate di un grande spirito altruista.

L’atto della donazione di ovuli non è da mettere in nessun momento a un gradino inferiore a qualsiasi altra donazione di organi. Sono giovani donne di età compresa generalmente tra i 20 e i 30 anni che si sottopongono con il sorriso e una forza unica a stimolazione ovarica, multipli controlli del sangue ed ecografici e infine ad un intervento chirurgico (prelievo degli ovociti o pick-up) per regalare la possibilità di concepire a donne dopo fallimenti ripetuti con la fecondazione in vitro omologa, dopo un cancro, dopo una menopausa precoce, dopo una malattia genetica.

Infine, i risultati, metro di giudizio universale della procedura. Le probabilità di successo dell’ovodonazione sono elevate. Nel nostro centro le percentuali di successo per il 2017 si attestano al 78% per trasferimento di embrioni realizzato.

Adesso ci sarebbe da spiegare pure la parte “noiosa” concernente l’articolo, che state pazientemente scorrendo coi vostri occhi. Specificare le difficoltà nel nostro Paese relative all’indispensabile trattamento di cui stiamo discorrendo. Che in Italia, volendo essere schietti, funziona male per “colpa” della legislazione: la disciplina delle tecniche di fecondazione assistita, pur avendo superato da tempo il divieto vigente sulla fecondazione mediante ovodonazione (dalla Legge 40/2004 inerente alla PMA) con la sentenza della Corte Costituzionale del 2014, non prevede per le donatrici un corrispettivo economico.  L’impasse derivante è facilmente evincibile.

Ma la prammatica non fa per me. Semmai sono un tipo pragmatico. Preferisco continuare con la parte scientifica, allora. Sottolineando l’atto d’amore senza termini di paragone che vivo ogni giorno, prestandomi con l’anima e il pensiero a questa pratica scientifica in costante evoluzione.

Documentarvi sulle fasi del trattamento attraverso il sito della “casa madre” Inebir, che con parole semplici e esaustive rende tutti i passaggi della fattispecie, basta a rispondere a un pò di dubbi che fanno capolino in mezzo alle tante domande postemi qui o su altri portali.

Però, farvi avvertire l’empatia che si crea coi pazienti che mi affidano le loro speranze, varcando la soglia del mio ambulatorio, è un altro discorso. Dovete credermi sulla parola. Per il valore che sento ancora di dare a una stretta di mano.

 

 

RITORNA AL BLOG