La pandemia COVID-19 ha avuto effetti profondi sulla pratica della medicina riproduttiva. La prima ondata nel marzo 2020, è stata guidata dalla paura e dalla scarsità di dati, portando all’annullamento dei cicli di trattamento e quasi alla chiusura dei laboratori di fecondazione in vitro (IVF). Questa situazione ha provocato nei pazienti forte stress relazionato al rallentamento del loro percorso di riproduzione assistita.  Attualmente, numerose coppie hanno ripreso le cure per la fertilità e hanno accettato le incertezze associate alla pandemia in corso. Nonostante, infatti la natura prolungata della pandemia e il numero di persone infette in tutto il mondo, ci sono ancora dati limitati sugli effetti del virus sulla salute riproduttiva umana. Risulta quindi necessario sapere se SARS-CoV-2 può infettare gameti ed embrioni e considerare le possibili conseguenze sui concepimenti naturali e sulle gravidanze generate dalla fecondazione in vitro.

 

 

Informazioni sul virus

Le caratteristiche molecolari della famiglia dei coronavirus virali, che comprende SARS-CoV, MERS-CoV e il nuovo Coronavirus (SARS-CoV-2) recentemente identificato, sono state ben chiarite. La conoscenza della struttura e della biologia molecolare del coronavirus aumenta la conoscenza sulla fisiopatologia dell’infettività da coronavirus. In particolare, sono virus a RNA grandi, a filamento singolo il cui genoma virale è alloggiato all’interno di un nucleo-capside, che a sua volta è contenuto all’interno di un involucro virale. Questo involucro comprende tre proteine ​​distinte: una “proteina di membrana” e una “proteina dell’involucro”, entrambe direttamente responsabili dell’assemblaggio virale, nonché una “proteina spike”, che media l’ingresso virale nelle cellule ospiti. Se osservate al microscopio elettronico, queste proteine ​​spike sono marcatori esposti in superficie che producono un riconoscibile aspetto “a forma di corona” per il virus. Le proteine ​​spike svolgono un passaggio critico nell’infezione umana, oltre a determinare la specificità del tessuto ospite e indurre la risposta immunitaria. La proteina spike del coronavirus è composta da due subunità: il dominio S1 e il dominio S2.

Il dominio S1 della proteina spike funziona nel legame virale e nell’attaccamento alla membrana della cellula ospite. Finora sono stati identificati numerosi recettori sulla membrana cellulare umana coinvolti nel legame della subunità S1, tra cui l’enzima di conversione dell’angiotensina-2 (ACE2), CD26, Ezrin e ciclofiline. Il dominio S2 della proteina spike è responsabile della fusione delle membrane delle cellule virali e ospiti, consentendo al genoma virale SARS – CoV-2 di entrare nella cellula ospite. Questo processo implica una complessa interazione tra il macchinario virale e quello ospite, che culmina in una rapida replicazione virale all’interno delle cellule bersaglio.

 

 

 

Effetti del coronavirus sui gameti maschili e femminili

Il coinvolgimento dell’infezione da SARS-CoV-2 nei sistemi riproduttivi umani maschili e femminili deve ancora essere chiarito. Tuttavia, i risultati di altri sottotipi di coronavirus, in particolare SARS-CoV, ci aiutano a comprendere la fisiopatologia virale tessuto-specifica.

È importante sottolineare che ci sono prove che suggeriscono che l’infezione da coronavirus può avere un impatto sul tratto riproduttivo maschile. La proteina ACE2, il principale recettore per l’ingresso virale del coronavirus, viene espressa selettivamente dalle cellule del Leydig dei testicoli adulti. Ci sono numerose segnalazioni di lesioni riproduttive maschili dopo infezione da SARS-CoV. Le principali teorie postulano che questa sia una risposta immuno-mediata all’infezione perché non è stata descritta l’inoculazione diretta dell’RNA del coronavirus all’interno del tessuto testicolare. Sono stati segnalati casi di SARS-CoV che causano orchite grave (infiammazione testicolare severa).

Per quanto riguarda i parametri seminali, vari lavori indicano una diminuzione della concentrazione e della motilità degli spermatozoi per 72-90 giorni dopo l’infezione da COVID-19. Tuttavia, è difficile trarre conclusioni definitive dato il piccolo numero di pazienti studiati, il breve periodo di follow-up, la mancanza di analisi del seme prima dell’infezione da SARS-CoV-2 e solo una singola analisi del seme eseguita dopo l’infezione. Inoltre, questi risultati possono essere confusi dai farmaci usati per trattare COVID-19.

Sebbene l’espressione di ACE2 (recettore per l’entrata del virus nelle cellule) sia stata trovata anche all’interno del tratto riproduttivo femminile, inclusi sia il tessuto ovarico che uterino, i dati attuali suggeriscono che il SARS – Coronavirus 2 (CoV-2) non influenzi negativamente la gametogenesi femminile.

 

Altro aspetto importante da sottolineare e se gli embrioni o gli ovociti possono essere veicolo di infezione. Gli ovociti e/o gli embrioni essendo composti da un piccolo numero di cellule (solo una per gli ovociti) e privi di qualsiasi apporto di sangue, hanno un rischio minimo di agire come vettori patogeni, inoltre i vari passaggi di laboratorio (che comportano dei lavaggi sia nelle fasi pre trasferimento embrionale che nella crioconservazione) rappresentano un’ulteriore misura preventiva.

 

Ad oggi, l’impatto della SARS-CoV-2 sull’impianto embrionale e sull’endometrio rimane in gran parte sconosciuto. Molti studi hanno valutato la suscettibilità dell’endometrio all’infezione da SARS-CoV-2 misurando ACE2 , TMPRSS2 , TMPRSS4 dell’endometrio. I risultati sono rassicuranti e suggeriscono un basso rischio di infezione dell’endometrio da parte di SARS-CoV-2.

La quantità di dati attualmente disponibili è piccola, ma finora non vi è alcuna indicazione di una maggiore incidenza di malattie gravi tra le donne in gravidanza e di sequele ostetriche per i bambini nati da madri infette da SARS-CoV-2.

 

Pertanto possiamo concludere che sono necessari ulteriori studi per determinare il vero rischio di infezione da SARS-CoV-2; i trattamenti di fertilità al momento rappresentavo una strada sicura per il concepimento, soprattutto in momenti pandemici come questo.

Procrastinare i trattamenti di PMA in attesa di una risoluzione definitiva della pandemia avrebbe degli effetti disastrosi sui concepimenti soprattutto per le donne con età superiore ai 35 anni.

 

Reference

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