Sarà capitato a tutti di vedere un film o di leggere un libro fantascientifico in cui i personaggi per poter viaggiare nello spazio o nel tempo vengono ibernati a temperature molto basse, in cui le funzioni vitali vengono ridotte per creare un’ “animazione sospesa”.
Se questo per un intero essere vivente come l’uomo appartiene solo al mondo della fantasia, per cellule e tessuti invece, grazie ai progressi scientifici, è ormai possibile.
Ciò viene realizzato attraverso la crioconservazione, una tecnica che consente di mantenere cellule e tessuti in uno stato vitale grazie all’utilizzo di temperature criogeniche (-196°C).
Nei trattamenti di procreazione medicalmente assistita è possibile crioconservare ovociti, embrioni e spermatozoi. In particolari situazioni è possibile crioconservare anche tessuto ovarico o tessuto testicolare.
La crioconservazione degli ovociti può essere effettuata per diverse ragioni:
- Evitare un nuovo ciclo di stimolazione ovarica, congelando gli ovociti soprannumerari del ciclo precedente
- Tutelare le pazienti a rischio di iperstimolazione ovarica in cui è sconsigliabile il trasferimento embrionale a “fresco”, scongelando poi gli ovociti al ciclo successivo
- Preservazione della fertilità di donne che decidono di posticipare la loro maternità ad esempio per motivi sociali (il cosiddetto social egg freezing; dopo i 35 anni la fertilità della donna si riduce gradualmente e repentinamente) o che sono a rischio di fallimento ovarico precoce in seguito a chemio- o radioterapia, per cause genetiche o per patologie pelviche (endometriosi, cisti ovariche, infezioni ricorrenti)
La crioconservazione degli embrioni, invece, secondo la legge italiana, è consentita solamente quando, in seguito a decisione medica e previo consenso della coppia, vengono ottenuti embrioni soprannumerari da un trattamento di fecondazione in vitro. Tali embrioni congelati saranno a disposizione della coppia nel caso in cui il primo tentativo abbia avuto esito negativo o per avere un secondo figlio;
Passando a informazioni di natura tecnica, nello sviluppo delle procedure di crioconservazione si sono dovuti tenere in considerazione due aspetti principali riguardo lo stress fisico a cui le cellule sono esposte: in primo luogo, l’impatto diretto del congelamento che è associato a cambiamenti nella permeabilità della membrana e nella struttura citoscheletrica cellulare [1], e in secondo luogo, la distruzione della struttura cellulare e della sua funzione a causa della creazione di cristalli di ghiaccio. La soluzione a questi due problemi principali è stata trovata attraverso l’uso di crioprotettori e l’applicazione di apposite procedure di congelamento e scongelamento.
Lo sviluppo delle tecniche di fecondazione in vitro dalla nascita della prima bambina in provetta nel 1978 ha dato un ulteriore impulso alla criobiologia e presto si sono ottenute le prime gravidanze da gameti ed embrioni crioconservati [2]. I problemi della crioconservazione riguardo il livello di sopravvivenza cellulare sono stati rapidamente identificati, portando a soluzioni soddisfacenti per eliminare le implicazioni dannose.
Il successo della crioconservazione si basa sull’uso di crioprotettori, che sono piccole molecole idrosolubili che fungono da agenti antigelo rompendo i legami idrogeno delle molecole d’acqua. In questo modo abbassano il punto di congelamento, sostituendo osmoticamente le molecole d’acqua intracitoplasmatiche. Secondo la loro permeabilità i crioprotettori sono classificati in permeanti (dimetilsofossido o DMSO, glicerolo, propanediolo, glicole etilenico) e non permeanti (saccarosio, trealosio, raffinosio, ficoll, macromolecole). La loro natura è tossica e quindi è necessario un buon equilibrio per quanto riguarda la velocità di disidratazione, che è direttamente proporzionale alla loro concentrazione.
La possibilità di crioconservare embrioni e gameti con alti tassi di sopravvivenza offre un’enorme flessibilità che rivoluziona l’intera gamma dei trattamenti di fertilità.
Inizialmente, la metodica di crioconservazione utilizzata era quella del congelamento lento. Di più recente introduzione è invece la tecnica di vitrificazione. Implica la conversione di una sostanza liquida in una struttura simile al vetro, non cristallina, mediante congelamento rapido. La vitrificazione riduce al minimo la probabilità di formazione di ghiaccio all’interno del citoplasma delle cellule grazie a due elementi fondamentali: in primo luogo, prima del congelamento, i gameti/embrioni sono collocati nel crioprotettore che provoca la disidratazione e successivamente entra nelle cellule sostituendo osmoticamente l’acqua, e in secondo luogo, grazie all’uso di alte velocità di congelamento dalla temperatura di coltura di 37 °C ai -196 °C dell’azoto liquido. Quindi il liquido nell’ambiente intracellulare non forma cristalli ma solidificandosi acquisisce una composizione simile a quella del vetro [3]. La tecnica prevede l’uso di alte concentrazioni iniziali di crioprotettore per poter ridurre i tempi di esposizione, con bassi volumi di terreno di congelamento e velocità di raffreddamento che possono arrivare a 25000 °C al minuto contro i 0,3-1 °C al minuto della metodica del congelamento lento. I diversi protocolli di vitrificazione differiscono per: tipi, combinazione, concentrazione e volumi di crioprotettori utilizzati; tempi di esposizione; metodi di congelamento/scongelamento; supporti utilizzati per il congelamento [4].
I passaggi fondamentali dei protocolli di vitrificazione e scongelamento sono:
- Esposizione degli embrioni/gameti a concentrazioni progressivamente crescenti di crioprotettore affinché avvenga la disidratazione
- Caricamento degli embrioni/gameti su un supporto scelto, nel minimo volume possibile
- Rapido congelamento/vitrificazione a -196 ° C
- Conservazione
- Riscaldamento per esposizione a concentrazioni gradualmente decrescenti di crioprotettore, puntando alla reidratazione e al “lavaggio” per rimuovere le sostanze crioprotettori e ripristinare l’ambiente fisiologico.
Gli studi dimostrano che la velocità di scongelamento è anche più importante di quella di raffreddamento: il raggiungimento della velocità di riscaldamento di 42.000 °C/min garantisce di sorpassare velocemente la zona di temperatura dannosa, responsabile del danno dovuta alla formazione di cristalli di ghiaccio [5].
In quasi tutti i laboratori, la vitrificazione ha ormai sostituito il congelamento lento dal momento che numerosi studi hanno dimostrato che questa è meno traumatica sulla fisiologia cellulare rispetto alla seconda tecnica [6,7].
I tassi di sopravvivenza degli ovociti e degli embrioni che subiscono un ciclo di vitrificazione e scongelamento sono molto alti e variano tra circa il 70% e il 95% in base al tipo di supporto utilizzato, con i valori più alti corrispondenti all’uso dei sistemi aperti (ad es. Cryotop, utilizzato anche nei nostri laboratori) [8,9,10]. Inoltre, i tassi di gravidanza dei cicli realizzati con ovociti ed embrioni scongelati sono quasi del tutto sovrapponibili a quelli realizzati a fresco.
Lo sviluppo delle metodiche di crioconservazione ha rappresentato un notevole progresso nell’ambito della procreazione medicalmente assistita, proiettando le pazienti nel futuro e consentendole di poter rimandare la maternità, laddove il passare degli anni o un cancro potrebbe negare questa possibilità. Alcune volte dove la natura pone dei limiti la scienza può porre rimedio. E proprio a questo tipo di scienza sono grato: costituisce la mia vita.
Bibliografia
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